Siamo i ragazzi della classe IV D del Liceo classico "G. D'Annunzio" (Pescara).
Partecipiamo a questo concorso perché abbiamo un interesse comune : quello di dar voce alle nostre opinioni sui principi della Legalità e della Libertà. I nostri lavori sono coordinati dalla prof.ssa Annapaola Giansante e con lei aderiamo ai progetti presenti a scuola (incontri con studiosi e referenti delle forze armate civili).

martedì 26 aprile 2011

25 aprile: Liberazione d'Italia!

Il 25 aprile in Italia è la Festa della Liberazione, si ricorda cioè l'anniversario della liberazione dal nazifascismo.
Durante la seconda guerra mondiale (1939-1945), dopo il 1943, l'Italia si ritrovò divisa in due: al nord Benito Mussolini e i Fascisti avevano costituito la Repubblica Sociale Italiana, vicina ai tedeschi e al Nazismo di Hitler, mentre al sud si formò in opposizione il governo Badoglio, in collaborazione con gli Alleati americani e inglesi.
Per combattere il dominio nazifascista si era organizzata la Resistenza, formata dai Partigiani. Questi erano uomini, donne, giovani, anziani, preti, militari, persone di diversi ceti sociali, diverse idee politiche e religiose, ma che avevano in comune la volontà di lottare personalmente, ognuno con i propri mezzi, per ottenere in patria la democrazia e il rispetto della libertà individuale e l'uguaglianza.

Il 25 aprile 1945 i Partigiani, supportati dagli Alleati, entrarono vittoriosi nelle principali città italiane, mettendo fine al tragico periodo di lutti e rovine e dando così il via al processo di liberazione dell'Italia dall'oppressione fascista.
Qualche anno dopo, dalle idee di democrazia e libertà, è nata la Costituzione Italiana.

Di seguito vi elenchiamo alcuni esempi di libri che sono ambientati e parlano del periodo della Resistenza italiana. Gli autori sono stati essi stessi testimoni della Seconda Guerra Mondiale e vogliono raccontare, ognuno a suo modo, le esperienze fatte e i segni lasciati da uno dei periodi che più ha segnato il nostro Paese.

Il sentiero dei nidi di ragno - Italo Calvino
Sentiero dei Nidi di RagnoAmbientato in Liguria, tra gli stretti vicoli di un paesino della Riviera di Ponente, durante la Resistenza. Il protagonista è Pin, un ragazzino solo e senza guida. La sorella fa la prostituta e tra i clienti ha anche i militari tedeschi; per questo motivo Pin viene scartato e insultato. Per ripicca e per avere la considerazione degli adulti, il bambino decide di rubare la pistola all'amante della donna e di nasconderla. Questo gesto scatenerà una serie di eventi che lo porterà ad essere messo in prigione dai tedeschi e, una volta scappato, ad entrare in contatto con i gruppi di partigiani che si nascondevano tra i monti, diventandone parte integrante. Nel condividere con loro la difficile vita da ribelli, con l'oppressione degli invasori tedeschi, imparerà ad affrontare la realtà di un paese in guerra, con l'aiuto del nuovo amico Cugino, diventato una sorta di padre adottivo.

La casa in collina - Cesare Pavese
Casa in Collina - Cesare PaveseIl libro narra le vicende di Corrado, durante l'estate del 1943, in piena Seconda Guerra Mondiale. L' uomo è un professore quarantenne che vive sulle colline antistanti Torino, non è sposato e ha due donne, madre e figlia, che si occupano di lui e dell'andamento domestico. Corrado tutte le sere si rifugia sulle colline per scampare ai bombardamenti tedeschi sulla città e, così come sfugge alla guerra e ad un quasi obbligato schieramento politico, evita anche di prendersi responsabilità negli altri campi della vita. Tra i partigiani ha amici, Cate, una fiamma del passato, e il figlio di lei, probabilmente suo; nonostante questo non si sbilancia seguendo i loro ideali e le loro azioni. La guerra incombe, i tedeschi incalzano e i suoi amici vengono arrestati, forse uccisi, ma lui fugge e per salvarsi abbandona anche il giovane ragazzo, affidatogli da Cate: niente sembra scrollarlo dalla sua vigliaccheria. Un giorno però si imbatte per caso nella cruda uccisione di alcuni fascisti, da parte dei partigiani di zona. La morte e il sangue così vicini e reali lo fanno riflettere amaramente sulla sua vita e sul periodo storico in cui si trova: la guerra tocca tutti, prima o poi, nessuno riesce a sottrarsi. Tramite Corrado si vive il duro periodo della guerra e dell'inizio della creazione dei gruppi partigiani.

Il partigiano Johnny - Beppe Fenoglio
Partigiano Johnny - Beppe FenoglioE' il settembre del 1943 quando Johnny, un giovane studente di letteratura con l'amore per la cultura anglosassone, decide di unirsi ai partigiani della sua città Alba, nel Monferrato piemontese. Lo fa non tanto per convinzione ideologia, quanto più forse per aver immaginato poeticamente e astrattamente quella vita avventurosa. La realtà però si rivela tutt'altro che epicamente magica: è una lotta quotidiana contro la morte, la fame, la solitudine e soprattutto la guerra che provoca tutto questo. Le guerriglie e le lotte portano il giovane a trovarsi solo, senza più nessun amico, solo con la natura che lo circonda. Ha così la possibilità di fare un'attenta analisi introspettiva, che lo porta a realizzare quanto la guerra possa distruggere un uomo, le sue certezze, i suoi sogni e i suoi desideri. Johnny torna tra la gente, ma non è più in grado di integrarsi normalmente. Il libro è incompiuto, ma è comunque considerato uno dei più pragmatici e originali romanzi sulla Resistenza italiana. Nel 2000 è stato anche tratto un film, che ha lo stesso titolo.

Il clandestino - Mario Tobino
Il Clandestino di Mario TobinoIl romanzo è ambientato nella Toscana della Resistenza. Racconta di un gruppo di ragazzi, colti e ben educati, che per combattere il fascismo si dedica ad una complicata vita sotterranea. Quello che li fa resistere e andare avanti nella loro lotta è l'amore per la propria città Medusa (nome di fantasia per Viareggio), la profonda fede nelle loro ideologie politiche e l'ardente desiderio di giustizia. Tra di loro c'è Anselmo, un giovane medico (il personaggio più simile allo scrittore), che suo malgrado si è trovato a dover affrontare gli orrori della guerra e vorrebbe soltanto poter vivere il suo Paese e la sua adorata città, senza pensare al passato. La visione romantica della vita è costretta continuamente a cozzare col violento realismo del tempo, ma non soccombe mai.

venerdì 22 aprile 2011

Un grande Summit sulla condizione femminile nel Mondo: La Conferenza di Pechino

La IV Conferenza dell'Onu sulle donne, svoltasi a Pechino nel settembre 1995, ha messo in evidenza la disparità di trattamento (in base all'istruzione, al lavoro, al trattamento economico, alla posizione nella famiglia nei confronti del coniuge e dei figli, alla proprietà e alla partecipazione sociale e politica) e la violenza cui è sottoposta la parte femminile dell'umanità. Per costruire una reale parità con gli uomini, soprattutto con padri e mariti, è necessario un impegno di tutti, individui e governi, che valorizzi il lavoro femminile e il ruolo della donna nella società. Problemi molto gravi per peso sociale ed estensione riguardano milioni di donne che vivono sul nostro pianeta. Si tratta, per prima cosa, del diritto della donna al proprio corpo, a scelte autonome e responsabili circa la propria sessualità e salute. Inoltre, le donne sono le prime vittime del problema demografico, della fame, del degrado ambientale, del mancato rispetto dei diritti civili, del razzismo e del rifiuto di accogliere la multiculturalità. Infine esse subiscono in modo più grave e pesante gli effetti negativi degli squilibri socio-economici e delle guerre. Anche nella Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo (1995) è stata messa in rilievo la necessità di valorizzare il ruolo della donna, essenziale per il raggiungimento di uno sviluppo sostenibile per tutto il pianeta. Ricordando "quanti motivi ha la Chiesa per desiderare che, nella Conferenza di Pechino, si ponga davvero nel dovuto rilievo il "genio della donna"", pochi mesi prima (Lettera alle donne, 29 giugno 1995) papa Giovanni Paolo II aveva scritto: "Grazie a te, donna-lavoratrice, impegnata in tutti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica, per l'indispensabile contributo che dai all'elaborazione di una cultura capace di coniugare ragione e sentimento, ad una concezione della vita sempre aperta al senso del mistero, alla edificazione di strutture economiche e politiche più ricche di umanità. Sì, è l'ora di guardare con il coraggio della memoria e il franco riconoscimento delle responsabilità alla lunga storia dell'umanità, a cui le donne hanno dato un contributo non inferiore a quello degli uomini, e il più delle volte in condizioni ben più disagiate. Della molteplice opera delle donne nella storia, purtroppo, molto poco è rimasto di rilevabile con gli strumenti della storiografia scientifica. Per fortuna, se il tempo ne ha sepolto le tracce documentarie, non si può non avvertirne i flussi benefici nella linfa vitale che impasta l'essere delle generazioni che si sono avvicendate fino a noi. Rispetto a questa grande immensa tradizione femminile, l'umanità ha un debito incalcolabile. I gravi problemi sul tappeto vedranno, nella politica del futuro, sempre maggiormente coinvolta la donna: tempo libero, qualità della vita, migrazioni, servizi sociali, eutanasia, droga, sanità e assistenza, ecologia, ecc. Per tutti questi campi, una maggiore presenza sociale della donna si rivelerà preziosa, perchè contribuirà a far esplodere le contraddizioni di una società organizzata su puri criteri di efficienza e produttività e costringerà a riformulare i sistemi a tutto vantaggio dei processi di umanizzazione che delineano la cività dell'amore". 

Ecco di seguito, La Dichiarazione Dei Governi sempre sul tema della donna:

1.  Noi, Governi partecipanti alla Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne.

2.  Convinti di dover sostenere gli obiettivi di equità, sviluppo e pace per tutte le donne, in qualsiasi luogo e nell'interesse dell'umanità intera;

3.  Ascoltando la voce delle donne di tutto il mondo e riconoscendo la diversità loro e delle circostanze in cui vivono, rendendo omaggio a quante hanno aperto la strada davanti a noi e acceso le speranze dei nostri giovani;

4.  Riconosciamo che la condizione delle donne ha compiuto significativi progressi negli ultimi dieci anni, ma che tali progressi non sono stati uniformi e che le disuguaglianze tra donne e uomini persistono e gravi ostacoli permangono. Ciò comporta gravi conseguenze per il benessere di tutti gli esseri umani;

5.  Riconosciamo inoltre che la situazione è esacerbata dall'aumento della povertà che affligge un crescente numero di persone in tutto il mondo, in particolare donne e bambini, e che ciò ha radici in contesti nazionali e internazionali;

6.  Ci impegnamo senza riserve ad affrontare tali problemi al fine di sostenere il progresso delle donne e l'attribuzione di poteri e responsabilità alle donne di tutto il mondo, e concordiamo nel ritenere che ciò richiede misure urgenti in uno spirito di determinazione, speranza, cooperazione e solidarietà, in questo momento e per condurre il nostro lavoro nel prossimo decennio.    




giovedì 21 aprile 2011

"Tifoso ferito, agente della Digos indagato"

Questo che stiamo per presentare è un articolo di un quotidiano del giorno 31 Marzo 2009. Il fatto di cui si parla è accaduto proprio nello stadio della nostra città.

"Sono dovuti passare due anni e quattro mesi per riuscire ad avere tra le mani un briciolo di verità su quel maledetto 25 novembre 2006. Allo stadio Adriatico di Pescara Gianluca Chalgaf, allora 25enne, fu colpito da un oggetto alla testa durante gli scontri fra tifosi e polizia. Perse i sensi, andò in coma per poi risvegliarsi diverso, profondamente diverso. Per oltre 730 giorni il fascicolo aperto dal pubblico ministero Giuseppe Bellelli, in servizio alla Procura di Pescara, è rimasto contro ignoti. Adesso però c'è un nome iscritto nel registro degli indagati ed è quello di un agente della Digos di 30 anni. E' accusato di lesioni personali colpose e getto pericoloso di cose perchè secondo l'accusa, avrebbe esploso un lacrimogeno ad altezza d'uomo e a distanza ravvicinata provocando, SENZA VOLERLO, la rottura del cranio di Gianluca. La Procura ha individuato un presunto responsabile ma ha chiesto al Gip di Pescara, Maria Michela Di Fine, di archiviare il caso.  [...] 
E' il 25 novembre del 2006 quando la vita di Gianluca Chalgaf cambia per sempre. Amava il Napoli, lo ama ancora, ma nei suoi occhi pieni di nostalgia ci sono i segni di tutte le notti insonni. Partono in quattro in un'auto da Napoli diretti a Pescara. C'è una trasferta "tranquilla" e l'"onda azzurra" si mette in movimento. In duemila e cinquecento raggiungono l'Adriatico per assistere alla tredicesima giornata del campionato di serie B. Alcuni di loro sono però senza biglietto e tentano di forzare l'ingresso. Iniziano le prime cariche della polizia. Dei delinquenti, travestiti da tifosi, rispondono con il lancio di bombe carta e fumogeni. Qualche ora prima dell'inizio della partita già si contano decine di contusi. Gianluca e i suoi amici, tutti incensurati, bravi ragazzi, hanno comprato il biglietto quindici giorni prima e non ci impiegano tanto ad entrare nonostante la ressa. Alle 13 è già all'interno dello stadio con il gruppo di amici e si sta avviando velocemente sugli spalti. In quel momento è colpito da un oggetto e perde i sensi. Trasportato d'urgenza all'Ospedale Spirito Santo di Pescara viene operato e resta in coma  per 10 giorni. Ha una frattura infossata nell'osso temporale sinistro e una lesione alla tempia. Viene dimesso dal reparto di neurochirurgia il 7 dicembre 2006. Da lì inizia il calvario che non è ancora finito. L'1 dicembre 2006 il capoufficio indagini della Figc, Francesco Saveri Borrelli, chiede alla Procura di Pescara informazioni sugli scontri per infliggere sanzioni disciplinari alla società del Napoli e ai suoi tifosi. Solo a quel punto, dopo 7 giorni, la Procura decide di aprire un fascicolo. L'indagine viene poi affidata agli stessi agenti della Digos che quel giorno coordinarono l'ordine pubblico, presunti responsabili di quanto era accaduto al 25enne. Il 13 dicembre 2006, 19 giorni dopo, la famiglia Chalgaf nomina l'avvocato Luigi Bonetti. Il giorno dopo arriva alla Procura, via fax, un appello firmato dalla mamma di Gianluca nel quale si chiedeva al pm di indagare a 360 gradi e di non trascurare nessuna ipotesi, neanche che a sparare contro il giovane fosse stato un poliziotto. Si riteneva infatti che a ferire il 25enne fosse stata l'esplosione di una bomba carta lanciata dagli ultras inviperiti durante gli scontri, ma alcuni ragazzi giuravano di aver visto Gianluca cadere sotto il colpo di un bossolo di lacrimogeno. Il 19 febbraio 2007, 88 giorni dopo, Gianluca, che non può parlare, scrive una lettera al pm Bellelli, testimoniando ciò che aveva visto prima di essere colpito. Il 25 luglio 2007, 244 giorni dopo, arriva alla Procura una memoria dell'avvocato Bonetti con allegata la cartella clinica dell'Ospedale Spirito Santo di Pescara. Il primario del reparto di neurochirurgia, il dottor Luigi Lezzerini, scrive: "Gianluca è stato colpito alla regione temporale da un colpo contundente, duro, di forma cilindrica, a distanza ravvicinata e con una forte energia cinetica". Ma il dottore fa di più escludendo che a ferire il giovane sia stata una bomba carta, come all'inizio erroneamente si era ipotizzato: "Non ci sono segni di bruciatura, né del cuoio capelluto, né dei tessuti interni che l'alta temperatura di un petardo avrebbe dovuto provocare nell'esplosione". Cosa vuol dire? Lo scrive il pm nella prima richiesta di archiviazione: "Non ci sono prove contro nessuno pur nella convinzione che a colpire Chalgaf  sia stato un lacrimogeno esploso da uno degli agenti di polizia in servizio quel giorno". Si riparte quindi da una certezza: Gianluca è stato ferito da un bossolotto di lacrimogeno e non da una bomba carta. Nell'opposizione alla richesta di archiviazione l'avvocato chiede innanzitutto di delegare l'indagine non più alla Digos ma ai carabinieri. Il Gip ha accolto le richeste e il caso è stato riaperto. Si è scoperto nelle successive indagini lampo dei militari dell'Arma, durante meno di 60 giorni, che erano 5 i poliziotti della Digos che avevano i fucili lacrimogeni e che uno di loro ha dichiarato nel suo interrogatorio, di aver sparato in totale tre colpi: due all'esterno dello stadio e uno all'interno, in direzione dei supporter ma di non essere stato lui a ferire il giovane. Individuare gli agenti era dunque semplice dato che ogni poliziotto che ha in dotazione un fucile lacrimogeno ha un nome e un cognome. Per ogni bossolotto esploso poi, ogni poliziotto deve stilare un rapporto controfirmato dal funzionario coordinatore. Quel giorno ne furono esplosi 18, uno di loro ha colpito Gianluca e questo è un fatto. I nomi degli agenti presenti all'Adriatico di Pescara erano noti dunque dal 26 novembre 2006: solo 24 ore dopo da quel drammatico pomeriggio. E questo è un fatto". 

Abbiamo voluto riportare nel nostro blog questo articolo per far capire quello che succede intorno a noi, ma non per offendere il lavoro della Digos negli stadi, che è davvero importante e allo stesso tempo richiede una grandissima responsabilità. Lo abbiamo voluto riportare perchè vogliamo denunciare a gran voce quello che succede negli stadi di tutta Italia, perchè andare a vedere la partita della propria squadra del cuore non deve essere motivo di rissa, perchè chi va allo stadio non deve andare con l'intenzione di provocare danni a chi gli sta intorno, soprattutto se è della squadra avversaria.   

mercoledì 20 aprile 2011

I bambini - lavoratori...

E' facile incontrarli in Brasile, in Nepal, nelle Filippine. Ancora più facile in India e nel Bangladesh. Ma non è difficile neppure trovarli molto più vicino. A casa nostra. I bambini che lavorano in Italia sono oltre 400.000 e, a dispetto dei luoghi comuni, sono nascosti nel Sud più povero, ma anche nel Nord-Est più ricco. Potrebbero essercene nel capannone alla periferia della nostra città, nel retrobottega di un artigiano del centro, nella cucina del ristorante di prestigio, nello scantinato del palazzo di fronte. "Lavoro e lavori minorili" è il titolo della prima inchiesta condotta in un Paese industrializzato sul lavoro minorile (il 97% del campione ha tra gli 11 e i 14 anni), realizzata dalla Cgil. Ora sappiamo chi sono, dove sono e cosa fanno questi bambini- lavoratori. Aggiustano, controllano, assistono, lavano, puliscono. La maggior parte, si legge nella ricerca, non svolgono mansioni paricolari. Il 47% lavora nei negozi, nei bar, nei ristoranti. Il 15% nelle officine, ai distributori di benzina, nei parcheggi. Il 17% fa l'ambulante o cuce vestiti o tomaie in famiglia, il 12% fa il garzone da un calzolaio o da un parrucchiere, il 10% è muratore, idraulico, elettricista, operaio. Quattro su dieci guadagnano meno di 100 € al mese. Soltanto il 4% va sopra i 500 €, i "baby-ricchi". "Nel Sud i bambini lavorano nelle imprese che cercano manodopera a bassissimo costo, nel Nord aiutano il padre nella micro-impresa di famiglia", dice un esponente della Cgil. La sorpresa è che sono di più al Nord: "E' un fenomeno della modernità, non dell'arretratezza", aggiunge con una formula efficace. Molti hanno abbandonato la scuola, ma molti altri sono studenti-lavoratori in pantaloni corti. E' un salto indietro di 250 anni. Non è il 2000, ma l'era della Prima Rivoluzione Industriale in Inghilterra. Da un lato la new economy (ossia l'insieme delle attività economiche, finanziarie e imprenditoriali legate all'uso di Internet), dall'altro la miniera. Non due paesi separati, ma gente che lavora pressoché gomito a gomito. Oltre la metà dei piccoli lavoratori fa più di otto ore al giorno. Uno su quattro non ha neppure la pausa pranzo, uno su tre stacca solo per meno di mezz'ora. Diritti zero. Le vacanze? Scordatevele! Il 46% dei bambini interpellati non ha le "ferie", e comunque non pagate. Se non c'è miseria materiale, c'è miseria culturale. Dice il presidente dell'Ires (Istituto di ricerche economiche e sociali)-Cgil: "Non si capisce come mai il Parlamento non abbia ancora approvato la legge che impone a tutti i prodotti il marchio sociale dei diritti per certificare che non si è fatto ricorso al lavoro minorile". 



domenica 17 aprile 2011

Quando ad emigrare erano gli italiani...


Nel 1975, primo anno in cui gli ingressi di stranieri nel nostro Paese hanno superato le uscite di cittadini italiani, si è chiuso un ciclo ultrasecolare, durante il quale l'Italia ha inviato all'estero più di 26 milioni di persone, cifra pari a quella della popolazione italiana alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1861. Tali dimensioni rendono evidente la centralità del fenomeno dell'emigrazione della sociatà italiana. I movimenti migratori hanno una storia molto antica - legata alle attività agricole e artigianali, alle guerre, alle persecuzioni politiche e religiose - che inizia ben prima dell'Unità d'Italia. Tuttavia, è tra quella data e la Prima Guerra Mondiale che si verifica la prima vera emigrazione di massa, diretta soprattutto verso le Americhe. Intere classi sociali italiane, appartenenti al mondo contadino o al sottoproletario urbano, entrano così a far parte di quei 55 milioni di europei che hanno varcato l'Atlantico nell'Ottocento. Le cause di questa grande emigrazione sono da ricercare in una serie di elementi economico-politici che caratterizzano l'Italia postunitaria, determinando sacche di estrema povertà. Essi sono, in sintesi: la crisi dell'agricoltura, con la conseguente eccedenza di manodopera e il progressivo impoverimento delle popolazioni rurali (sia della montagna, sia del Mezzogiorno); il carico fiscale causato dalle nuove tasse introdotte dal Governo italiano e la piaga dell'usura che affligge il mondo contadino; la graduale scomparsa, soprattutto nel Settentrione, dell'artigianato tradizionale e della manifattura domestica contadina, progressivamente soppiantati dalla produzione industriale. Il vasto flusso migratorio degli italiani verso le Americhe avveniva spesso in condizioni drammatiche fin dal momento del viaggio in nave, effettuato in terza classe e quindi in situazioni di pura sopravvivenza. A questo si aggiungevano, poi, le difficoltà derivanti dalla necessità di inserirsi in società molto diverse da quella di origine per lingua, costumi, tradizioni e cultura, dalla condizione di analfabetismo che quasi sempre li destinava a fare lavori umili, dalle condizioni di sfruttamento con scarsa tutela legislativa e sindacale. La presenza numerosa delle donne all'interno della comunità di immigrati favoriva, tuttavia, l'insediamento e il radicamento di intere famiglie nei Paesi di accoglienza, attraverso un processo comunque lungo, faticoso, spesso doloroso, a volte umiliante: soltanto i figli, e in molti casi i nipoti, avrebbero infine raggiunto la piena integrazione nella nuova società. L'emigrazione è continuata anche nel Novecento: in totale oltre 20 milioni di uomini e 7 di donne hanno lasciato l'Italia e il numero dei loro discendenti - i nostri connazionali all'estero - si aggira attualmente intorno ai 60 milioni. Nonostante si sia tentato di dipingere con toni enfatici e celebrativi questo esodo verso altri Paesi, esaltando le qualità di cittadini e di lavoratori degli italiani all'estero, rimane la realtà storica del giudizio dei Paesi d'accoglienza nei confronti degli immigrati italiani - rozzi e analfabeti, violenti e litigiosi, sfaccendati e imbroglioni, mafiosi e sfruttatori delle donne - per cui, spesso, "italiano" era sinonimo di "miserabile". Negli Stati Uniti i nostri connazionali erano considerati degli "stranieri straccioni" e guardati con sospetto come mafiosi o pericolosi anarchici: nel 1890 undici italiani, accusati di aver ucciso il capo della polizia di New Orleans, furono assolti dal tribunale ma vennero linciati dalla popolazione inferocita; alcuni anni dopo, i due anarchici Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti furono condannati a morte per un delitto, anche se della loro consapevolezza non c'erano prove certe. Gli italiani erano soggetti a violenze fisiche di massa in tutti i continenti, vittime di accessi di xenofobia collettiva: chiamati "l'orda oliva", erano considerati una "tribù di schiavi stupidi", con le facce da assassini, praticanti una religione "pagana" come il cattolicesimo, dediti all'alcol e sporchi come "maiali", ladri e dinamitardi. Si tratta di stereotipi che incontriamo anche nella letteratura e nel cinema Hollywoodiano dell'epoca, che dipingono spesso un ritartto degli italiani a metà tra il delinquentello di quartiere e il gangster vero e proprio. Certo la mafia era una dolorosa realtà americana, ma di essa non facevano parte solo gli italiani: c'erano anche gli irlandesi, gli ebrei russi, i cinesi. Nei ghetti delle metropoli americane la violenza si respira nell'aria accanto alla miseria, al degrado ambientale, all'ignoranza e all'emarginazione. Ci sono voluti il sacrificio, l'impegno, la serietà di intere generazioni di italiani per abbattere pregiudizi e odi razziali, per conquistare posti di rilievo nei settori dell'economia e della politica, del cinema e della musica, della ricerca e degli studi universitari, prima che i nostri connazionali all'estero non fossero più considerati una "orda di barbari puzzolenti".  
   

sabato 16 aprile 2011

Liberare l'infanzia

Di fronte alla violazione dei diritti dei bambini è inutile fare del pietismo, è utile invece scandalizzarsi, manifestare un "santo sdegno". E perchè nasca questo sdegno, è necessario conoscere e far conoscere. Solo così in tanti potranno allearsi, a fianco di bambini e ragazzi: costruire dei gruppi di pressione su chi detiene il potere. Bisogna denunciare la violenza contro l'infanzia e cercare di comprendere perchè si è creata. Crediamo che sia importante mettere in evidenza quella teoria che identifica l'infanzia come un gruppo minoritario senza potere all'interno della società, di qualsiasi società. Si tratta di un gruppo minoritario nel senso che non pone da sé le proprie regole, non partecipa alla formazione delle regole generali, subisce le decisioni del gruppo dominante. In questo caso della società degli adulti. La giustificazione è sempre la formula del the best interest of the children (nell'interesse dei bambini): da soli i bambini non ce la fanno ed è dunque nel loro interesse che non partecipino alle decisioni e che si lascino proteggere. E' un fatto che da soli i bambini non possono farcela a vedere riconosciuto il loro diritto essenziale a che gli interessi dell'infanzia vengano tenuti nella dovuta considerazione. Devono essere gli altri, gli adulti, che a loro si alleino. E' compito degli adulti che i bambini facciano tirocinio di libertà per essere pronti ad inserirsi nella società civile e politica come cittadini liberi e coscienti. L'infanzia non riuscirà a liberarsi da sola e l'invito è che gli adulti prendano l'iniziativa: ciascun adulto deve pensare anche ai figli e ai fratelli minori degli altri. Di regola gli interessi dei piccoli dovrebbero essere rappresentati dai loro genitori. Ma l'infanzia più affamata, più maltrattata, più sfruttata e abbandonata ha spesso genitori altrettanto affamati, maltrattati, sfruttati. La situazione dei giovanissimi è strattamente legata a quella generale della società dove vivono. Si può e si deve agire per migliorare la situazione dei più piccoli in specie, ma occorre rendersi conto che non molto si potrà fare se non mutando la situazione più generale. E' più facile che il mondo cambi se le generazioni future avranno vissuto un'infanzia e un'adolescenza che li abbia portati in condizioni migliori all'età adulta. Giovani meglio nutriti, più sani e che abbiano frequentato le scuole sono in grado, più dei loro genitori poveri e illetterati, di contribuire a cambiare le cose nel loro Paese.

domenica 10 aprile 2011

La vita di un uomo contro la mafia

Il giorno 8 aprile, nell'aula magna della nostra scuola, sono intervenuti personaggi importanti sul tema della mafia in Italia e in Abruzzo. Gianni Palagonia (pseudonimo) è un poliziotto che lotta contro la mafia e ha parlato nascosto dietro un paravento agli studenti del nostro liceo. Così afferma: "Uscirei anche da qui per farmi vedere e dire a quei quaquaraquà dei mafiosi che non li temo. Ma devo tutelare i miei figli, la mia famiglia. La cosa che mi pesa di più è questa: dal '92 vivo nascosto come un bandito, io che vandito non lo sono, e da 5 anni posso andare in giro solo protetto da questonparavento". Ha parlato del suo libro "Nelle mani di nessuno" dove è riportata la sua storia e la sua dolorosa carriera. Poi ha parlato sulla mafia in generale cogliendo l'attenzione dei presenti: "Essere mafioso è un atteggiamento mentale. E attenti, mafioso è anche chi vende case con il cemento impoverito facendo morire le persone. La mafia si è inabissata, ha abbandonato da tempo la coppola storta per indossare giacca e cravatta. Ha smesso di sparare". Il procuratore Trifuoggi, un altro ospite, aggiunge: "Non esistono più isole felici, le mafie vanno dove c’è il business, i soldi. E all’Aquila, almeno sulla carta, girano parecchi miliardi dopo il terremoto e l’organizzazione del G8; in Abruzzo dobbiamo stare attentissimi a questi signori che si presentano in abiti eleganti, usano benissimo il pc e, soprattutto, trovano sempre qualcuno pronto ad accoglierli". Infine il questore Passamonti ricorda i suoi trascorsi in una terra dura come la Calabria: "So cos’è un ambiente mafioso, l’aria che si respira, ed è importante che i giovani sappiano cosa li circonda». Gli ultimi applausi dei ragazzi sono per Palagonia, lui li ferma così: «Non fateli a me, ma a quelli che sono morti per servire lo Stato».